Presidenziali 2020: la politica di Trump e le lacrime di West

Il 3 novembre 2020 è la data fissata per le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Attualmente i sondaggi danno in testa Joe Biden, candidato democratico già vicepresidente sotto l’amministrazione Obama, seguito a ruota da Donald Trump, presidente in carica, di fazione repubblicana.

Anche in occasione di queste elezioni non sono mancati i colpi di scena, ossia outsider che annunciano la propria candidatura in maniera del tutto improvvisa e inaspettata. Nella storia della politica statunitense il caso più famoso è stato sicuramente quello di Ronald Reagan, che prima di guidare gli Stati Uniti per ben due mandati ha lavorato come attore; nel 2016 Joe Exotic, oggi noto a tutti grazie a Netflix con il nome di Tiger King, si candidò ottenendo più di 900 voti; quest’anno è la volta di Kanye West, rapper americano di fama mondiale, che ha annunciato la propria volontà di candidarsi attraverso i social, innescando subito la vivace reazione del web.

La candidatura di Kanye West

Annunciata con un tweet il 5 luglio 2020 dal profilo personale del rapper, la volontà di Kanye West di candidarsi alle presidenziali è diventata virale in poco tempo. L’interesse del cantante per la politica non è nuovo ai riflettori, infatti già nel 2015, in occasione degli MTV Video Music Awards, aveva accennato alla candidatura per il 2020; inoltre, ha espresso più volte pubblicamente il proprio sostegno a Donald Trump, il quale ha affermato di apprezzare anch’egli il rapper. 

All’inizio non era certo se si trattasse di uno scherzo, di qualche trovata pubblicitaria o di una faccenda seria (i precedenti storici c’erano, come già detto), fatto sta che successivamente West, sempre attraverso Twitter, ha annunciato la lista dei Paesi presso i quali ha inoltrato la richiesta ufficiale di candidatura alle presidenziali. In diversi Stati la domanda è stata rifiutata, perché è stata presentata oltre la scadenza o per mancanza di documentazione; d’altra parte, in alcuni Paesi, come ad esempio l’Oklahoma, è arrivata la conferma ufficiale che il rapper sia riuscito ad ottenere la candidatura compilando la domanda in tempo e pagando la quota di iscrizione di 35mila dollari come candidato indipendente.

Ufficialmente Kanye West si presenta da indipendente con il partito The Birthday Party. La sua campagna elettorale è stata effettivamente molto scarsa, infatti il rapper personalmente è stato poco coinvolto, lasciando la maggior parte del lavoro in mano al proprio staff, nonostante la Commissione elettorale federale abbia riportato che West vi ha investito circa 7 milioni di dollari. Degno di nota è stato l’evento elettorale a Charleston, nel South Carolina, nel quale il rapper ha tenuto un comizio alquanto caotico, esponendo le proprie opinioni non proprio progressiste (come era già noto). Kanye, durante il discorso, ha toccato svariati temi, dal razzismo alle armi, fino ad arrivare all’aborto, raccontando in lacrime aneddoti personali riguardo sua moglie Kim Kardashian e la loro primogenita North.

In seguito all’evento, la moglie del cantante ha pubblicato un lungo post su Instagram nel quale difende il marito e invita i propri follower a cercare di comprendere le azioni e le parole del marito, anche alla luce del fatto che sia affetto da disturbo bipolare. 

Naturalmente la possibilità di ambire alla presidenza è fuori discussione, se non altro proprio perché nella maggior parte degli Stati non sarà eleggibile e infatti i sondaggi, quando è presente, lo danno a percentuali irrilevanti. Tuttavia, va anche sottolineato che la sua candidatura è effettiva in alcuni Stati chiave contesi da Biden e Trump, dove una fetta di voti dirottata su West potrebbe fare la differenza. Vista questa situazione c’è chi ha gridato subito al complotto, sostenendo che la presenza del rapper sia una mossa politica dell’attuale Presidente per togliere voti all’opposizione; in realtà, va detto anche che, secondo diversi sondaggi, l’ipotetico elettore di West è più affine all’elettore medio di Trump e non al votante democratico. Naturalmente si parla di supposizioni che vedranno la propria conferma o smentita soltanto il 3 novembre.

La presidenza attuale

Donald John Trump non ha certo bisogno di presentazioni. Personaggio televisivo, imprenditore miliardario nonché quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America dal 2017, ha fatto molto parlare di sé per le sue scelte politiche fortemente conservatrici e isolazioniste, in netta e decisiva opposizione con il suo predecessore Barack Obama.

Lo slogan che ha accompagnato la sua campagna elettorale, “America First”, è certamente l’espressione che meglio riesce ad esprimere la direzione assunta dalle iniziative dell’amministrazione Trump, iniziative che sempre meno sono aperte al dialogo e che tendono a slegare gli USA da quella rete di accordi di interesse internazionale, puntando piuttosto ad una crescita individuale che pone in secondo piano eventuali conseguenze legate ad un quadro più ampio.

Un esempio di queste iniziative è sicuramente tutta la gestione della politica legata all’ambiente. Il presidente Trump, nel 2017, ha espresso la volontà di uscire dagli accordi sul clima di Parigi, uscita che diverrà effettiva solo nel 2021 (quindi sotto la futura presidenza), ma che trova già un riscontro nello scarso impegno e nella poca partecipazione degli USA alle iniziative a sostegno dell’ambiente, legate anche alla forte ondata di sensibilizzazione sul cambiamento climatico avvenuta negli ultimi anni.

Sulla scia dell’uscita dagli accordi di Parigi si collocano altre azioni come l’abolizione del Clean Power Plan per la riduzione delle emissioni di CO2, la riduzione delle limitazioni per l’utilizzo di fertilizzanti chimici o ancora l’approvazione di progetti per la costruzione di nuovi oleodotti.

Le altre iniziative nelle quali si riconosce l’impronta isolazionista e conservatrice di Trump sono quelle legate alla migrazione e ai diritti delle comunità lgbtq+ e afroamericane. La decisione di costruire una barriera sul confine tra Stati Uniti e Messico è già di per sé un messaggio forte e chiaro su quale sia l’opinione del Presidente in merito all’immigrazione, ma altri provvedimenti si sono posti su questa scia di forte chiusura. Recentemente, Trump ha firmato un documento a causa del quale viene meno la tutela delle persone transgender in ambito medico, alle quali, in precedenza, potevano venir negate le cure in base al genere dichiarato; questa decisione si colloca in un quadro più grande che è quello dell’abolizione dell’Obamacare: un’imponente riforma del sistema sanitario voluta da Obama, che Trump sta cercando di invalidare ad ogni costo.

A tutto ciò si aggiunge la gestione del terremoto “Black Lives Matter”, che ha posto sotto i riflettori mondiali il problema della discriminazione, della violenza e degli abusi del sistema giuridico statunitense, non facendo certamente una buona pubblicità al presidente Trump, che dal canto suo, aveva pensato di sedare le proteste con l’aiuto dell’esercito, invocando l’Insurrection Act[1].

Altro terremoto è stata l’emergenza sanitaria legata al covid-19: le dichiarazioni fatte da Trump sono state contraddittorie, dalla fase di negazionismo iniziale all’indossare pubblicamente la mascherina. La negligenza nella gestione di una situazione così delicata, che poi ha particolarmente interessato gli Stati Uniti, ha sicuramente incrinato il consenso nei confronti dell’attuale Presidente.

Tra le altre cose, sono queste le questioni, che hanno coinvolto negativamente la figura di Trump, su cui l’opposizione sta facendo leva in questo periodo di campagna elettorale.


[1] Provvedimento firmato da Thomas Jefferson nel 1807 che attribuisce al presidente il potere di sfruttare l’esercito per doveri normalmente spettanti alla polizia.

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