Le frontiere del nomadismo digitale

Navigando sui social, spesso si incontrano foto di località da sogno e di persone che hanno deciso di rivoluzionare la propria vita per partire alla scoperta di esse, scegliendo come compagno di viaggio il proprio lavoro. Sto parlando dei nomadi digitali.

Con lo sviluppo della tecnologia si sono rese disponibili nuove modalità di lavoro e, con esse, nuovi stili di vita.

I nomadi digitali sono coloro che hanno scelto di condurre la propria esistenza spostandosi continuamente di città in città e di Stato in Stato, lavorando da remoto con il proprio computer e con il supporto di una connessione ad internet.

Sono svariati gli ambiti che permettono di intraprendere questa strada: dal digital marketing alla scrittura, dal web design ai servizi di traduzione, dalla programmazione alla gestione di blog, comunque, in generale, settori che svincolano il lavoratore dal canonico impiego da ufficio.

Il fenomeno del nomadismo digitale è divenuto piuttosto popolare grazie ad un libro pubblicato nel 1997, Digital Nomad, di Tsugio Makimoto e David Manners. Il volume racconta questo stile lavorativo e di vita come una possibilità offerta dalle contemporanee e future tecnologie, unito all’urgenza di abbandonare il posto fisso e viaggiare.

In realtà, sono molti gli studiosi che negli ultimi anni del Novecento hanno percepito quale direzione e quale dimensione avrebbe potenzialmente assunto lo sfruttamento delle tecnologie da questo punto di vista.

Già negli anni ’70, ad esempio, Marshall McLuhan, noto sociologo canadese, aveva teorizzato un futuro con nomadi che si spostano velocemente da un luogo all’altro, trovando dovunque le strutture necessarie a soddisfare le proprie esigenze.  

Il nomadismo digitale è sicuramente lo specchio di un mondo che si affaccia ad una cultura sempre più globalizzata e presenta il prototipo di cittadino che sceglie uno stile di vita cosmopolita.

Il ruolo cruciale della tecnologia in questo cambiamento è da ricondurre innanzitutto alla possibilità offerta dal web di essere sempre connessi, quindi di trovarsi fisicamente in un luogo e virtualmente in svariati altri; conseguentemente, il poter comunicare con chiunque, istantaneamente, anche a kilometri di distanza, ha idealmente accorciato le distanze rendendo più addomesticabile questo stile di vita.

D’altro canto, è stato lo stesso internet a creare nuovi modelli di consumo, che hanno poi permesso la nascita di molte delle professionalità legate al panorama del nomadismo digitale. E la stessa tecnologia si è evoluta in questo senso, creando soluzioni che andassero a sostenere il lavoro a distanza e che colmassero eventuali lacune.

Proprio queste tecnologie hanno dimostrato la loro efficienza anche durante il recente periodo di lockdown, permettendo le modalità di smartworking, si parla ad esempio di infrastrutture VoIP, Cloud Computing, servizi di telecomunicazione e messaggistica istantanea, ma anche i popolarissimi social network.

Aldilà del concreto sviluppo tecnologico, sulla scia del pensiero di McLuhan si colloca una tendenza sempre maggiore alla libertà, un’adempienza ad un desiderio latente di mobilità che si sta concretizzando nella sempre maggiore accessibilità agli spostamenti, anche su lunghe distanze. Ad esempio, molte compagnie aeree si costruiscono sulla politica del low cost, ma anche le strutture ricettive si rendono più abbordabili o, addirittura, si inventano attraverso piattaforme web come Airbnb.

L’aspirazione di molti di abbandonare le rigide implicazioni dei lavori d’ufficio sta trovando un valido alleato nelle nuove tecnologie, ma non si deve tralasciare che questo stile di vita paga il suo prezzo in stabilità affettiva ed economica, quindi è una scelta che va ben ponderata.

Grazie ad internet si è creata una vera e propria community di nomadi digitali, infatti tramite diversi siti web si è formato un network di persone che condividono le proprie esperienze e raccomandano le località migliori per svolgere le proprie attività. Le mete predilette dai nomadi digitali spesso sono sede di co-working spaces, ossia luoghi in cui si condivide l’ambiente di lavoro ma ognuno svolge le proprie mansioni indipendentemente.

Ormai, nel 2020, non è difficile immaginare come anche zone molto remote siano diventate centri di interscambi tra individui provenienti da tutte le parti del mondo.

Tra i nomadi digitali è molto popolare NomadList, un sito web che raccoglie varie informazioni sulle migliori destinazioni, come la qualità della connessione ad internet, il costo della vita o la sicurezza e stila una classifica in base a questi requisiti. Certamente i punteggi sono costruiti in base ai feedback di chi ha visitato determinati luoghi. Un’altra iniziativa estremamente utile di questa piattaforma è la sezione Remote Jobs, attraverso la quale ci si può candidare per lavori che è possibile eseguire in modalità indipendente da remoto. Come NomadList esistono diversi siti web che si propongono come punti di riferimento per i nomadi digitali, come ad esempio NeverEndingVoyage, NomadiDigitali o Working Nomads.

In conclusione, si può dire che il nomadismo digitale sia un fenomeno che rappresenta realmente una rivoluzione non solo tecnologica, ma anche culturale in atto.

Nello stesso momento in cui è potente la presenza di forze che spingono alla chiusura delle frontiere, coesiste una forte volontà all’apertura, un forte desiderio di sentirsi cittadini del mondo e sembra essere questa la direzione di cui, volente o nolente, lo sviluppo tecnologico si fa interprete.

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