Con il termine nativo digitale si intende un individuo nato e cresciuto con tecnologie e ambienti digitali.
Questo termine é stato coniato dall’educatore Marc Prensky nel 2001 nel suo articolo “Digital Natives, Digital Immigrants” proprio per distinguere chi é nato un ambiente permeato dal digitale da chi migra verso dai media tradizionali a quelli digitali (chiamati per l’appunto migranti digitali).
Prensky sosteneva che i nativi digitali sono per loro natura più bravi con la tecnologia e addirittura che abbiano sviluppato un metodo di apprendimento diverso da quello tradizionale.
Tale affermazione e anche l’intera teorizzazione sui nativi digitali é molto dibattuta: per molti studiosi é considerata una generalizzazione estrema.
Ma andiamo a fondo della questione…
Il digitale e il web permea sempre di più la società: sempre più attività diventano Smart e fanno uso di nuove tecnologie.
I nativi digitali hanno sviluppato una componente biologica che li ha aiutato con la tecnologia?
Ne dubito fortemente: è passato troppo poco tempo dall’avvento del digitale per avere una modifica nel dna. Probabilmente tra qualche centinaio di anni gli esseri umani svilupperanno la possibilità di connettere il cervello al Wi-Fi, ma forse sto parlando di fantascienza.
Dunque come mai i nativi digitali hanno questa maggiore capacità nell’uso delle nuove tecnologie?
Per rispondere a questo quesito ci viene in aiuto lo psicologo evoluzionista russo Lev S. Vygotskij con la sua teoria dello sviluppo socioculturale.
Vygotskij sostiene che i bambini imparano e apprendono grazie alle interazioni con gli altri, con la società e tramite esperienze culturali e sociali. In altre parole lo sviluppo delle capacità del bambino dipende dall’ambiente in cui vive e dalle sue esperienze. Viene da sé che un bambino nato in un ambiente pieno di tecnologia digitale, questo impari in maniera naturale ad usarla.
Un esempio a mio parere puntuale é l’apprendimento della lingua: un bambino nato in Italia sará per lui naturale imparare l’italiano, un bambino nato in Francia imparerà il francese è così via per tutte le lingue.
Allo stesso modo un bambino che vive in un mondo circondato da tecnologia, impererà ad usarla.
Analizziamo ora un altro aspetto: tutti i nativi digitali sanno usare le tecnologie?
Ovviamente no.
Magari sanno delle funzionalità base oppure sono esperti solo di determinate tecnologie (per esempio sono bravissimi utilizzatori di iPad ma non sanno creare una cartella al computer, tratto da una storia vera).
Spesso apprendono per prova ed errori e in maniera non strutturata, da autodidatta.
Tornando all’esempio della lingua: tutti gli italiani parlano bene italiano? Decisamente no.
Questo scenario ci pone davanti nuove sfide sia sociali che educative.
Abbiamo dei ragazzi che hanno una iniziale alfabetizzazione digitale e che usano i media per socializzare e per comunicare. Come succede per la lingua, se non sono istruiti ed educati sulle tecnologie e sul web, il loro uso resta sommario e rudimentale. Servirebbe una maggiore alfabetizzazione, servirebbe che nelle scuole ci fosse la possibilità di affrontare temi digital dalla privacy all’uso dei programmi.
È una tesi condivisa e dibattuta da anni quella di insegnare tali argomenti nelle scuole, ma i risultati ancora devono emergere e poche realtà applicano queste idee.
In conclusione vorrei spezzare una lancia per i migranti digitali.
Vale lo stesso principio dei nativi digitali: è una estrema generalizzazione. Non tutti i migranti digitali hanno meno capacità dei nativi. Quest’ultimi non si sono ritrovati casualmente le tecnologie, sono state create e sviluppate proprio da alcuni migranti.
Nativi e migranti termini estremi usati per semplificare una nuova realtà e un nuovo mondo più smart.
Entrambi evidenziano la necessità di una educazione digitale e di un digital gap sempre maggiore. La società contemporanea richiede sempre più skill digitali e tecnologiche ed entrambe le parti (nativi e migranti) hanno le loro sfide da affrontare.