Sessismo linguistico, come si supera?

Osservazioni ed esempi sulla questione del sessismo nella lingua italiana, spagnola e francese. È possibile superarlo o dobbiamo sottostarci?

L’espressione sessismo linguistico si riferisce alla discriminazione, voluta o non, diretta ad un determinato sesso, sia esso maschile che femminile, attraverso l’uso della lingua. 

Nella quasi totalità dei casi, però, questa discriminazione verte tutta in favore dell’uomo, collegandosi ai pregiudizi e al disprezzo sociale, espliciti o non, verso il sesso femminile. Ad un’analisi anche superficiale, infatti, emerge una profonda disuguaglianza con la quale la donna viene rappresentata attraverso la nostra lingua, ma non solo: ugualmente la lingua spagnola, così come quella francese, godono di questi tratti definiti sessisti, che non sono delimitati solo da aspetti meramente linguistici, ma che scavano anche nel sociale.

Ci concentreremo principalmente su due elementi che caratterizzano questa questione:

  1. Uno linguistico, strettamente grammaticale e morfologico, che possiamo allacciare al dibattito molto acceso (soprattutto in Francia) sulla scrittura inclusiva.
  2. Uno sociale, collegato alla rappresentazione della donna e dell’uomo attraverso la lingua, con i suoi termini, le sue espressioni e i suoi proverbi.

Esperti linguisti sono d’accordo su cercare di educare all’utilizzo di un linguaggio non sessista, che eviti di privilegiare il genere maschile a quello femminile. Ma cosa significa nello specifico? 

Molti pensano che questo problema si possa risolvere semplicemente utilizzando la doppia flessione [signori e signore] o aggiungendo il corrispettivo morfema femminile [signori/e], ma è un’idea del tutto sbagliata, che non porta nessun miglioramento. Una tecnica che, seppur utile nel suo contesto, non potrà mai avere un effettivo riscontro sulla questione, o, per lo meno, non da sola. 

A tal proposito, negli ultimi anni, soprattutto in Francia, è cresciuto esponenzialmente il dibattito sulla cosiddetta Écriture inclusive (Scrittura inclusiva), della quale esistono diverse linee guida che permettono di adottarla. Ecco alcuni punti comuni:

  • Utilizzo del femminile per le professioni [ministra, deputata, sindaca…]. Questo è il punto meno “controverso”, già adottato anche in Italia e Spagna soprattutto dai quotidiani e dai giornali.
  • Utilizzo della doppia flessione. Come abbiamo visto prima [lavoratori e lavoratrici].
  • Utilizzo del point médian (·). Questa, invece, è stata la questione sulla quale più si è dibattuto, aspramente criticata e presa in giro. Consiste nell’utilizzare il punto mediano per aggiungere le possibili declinazioni: [gli·le autori·trici]. Secondo molti questo stratagemma causerebbe distrazione e lentezza nella lettura, il che, con molta probabilità, è vero.

Stando ai suoi sostenitori, questo modello, rifiutato in toto dall Académie française, consentirebbe di evitare la discriminazione fra uomo e donna. Ma è davvero così? Probabilmente no. È difficile poter pensare che l’utilizzo di un punto o di una doppia flessione possa avere qualche effetto sulla disuguaglianza di genere o sulla discriminazione. La questione da risolvere, invece, è un’altra.

È idea già accettata dal mondo linguistico che la lingua, di per sé, non sia maschilista, ma l’utilizzo che se ne fa può esserlo. Ecco qualche esempio:

Rappresentazioni: insulti, termini e proverbi

  • In italiano, quando si vuole insultare una donna, è di norma attaccarla con appellativi quali troi* o puttan*. Un uomo, invece, spesso è preso di mira per il “presunto lavoro di sua madre”, finendo per insultare lei e non lui. Un toro (nel linguaggio giovanile) è un “maschio valoroso”, una vacca è un termine dispregiativo utilizzato contro una femmina in sovrappeso. 
  • In spagnolo, una zorra è una prostituta, un zorro è uno furbo.
  • In francese «Femme au volant, danger au tournant» – «Donna al volante pericolo costante», sebbene i dati dimostrino il contrario.

Professioni

  • Il governante (gobernante in spagnolo) è chi governa, la governante (gobernanta in spagnolo) è la donna che cura la casa e i bambini.
  • Fino a qualche tempo fa el juez era il giudice, la jueza era la moglie del giudice. In italiano il suffisso –essa era utilizzato per indicare “moglie di”, anche se sta completamente perdendo quel valore.

Titoli

  • Sia in italiano che in spagnolo, l’uomo è un signore/señor, la donna una signora/señora (sposata) o una signorina/señorita (nubile), il che implica un palese trattamento diverso nei confronti dei due sessi. In francese esiste ancora la distinzione tra madame et mademoiselle ma, nel tempo, si sta perdendo.

Questi sono solo pochi esempi in un mare di termini ed espressioni. Esistono anche termini/espressioni che discriminano l’uomo, ma sono una netta minoranza.

È doveroso ricordare, a questo punto, che la lingua non è imposta, ma si evolve insieme a noi. La rappresentazione dell’uomo e della donna attraverso la lingua è una conseguenza del loro ruolo, passato e presente, all’interno della società. Se ci fermiamo un secondo a riflettere, sarebbe in realtà più equo parlare in generale di discriminazione linguistica piuttosto che di sessismo linguistico. Non sussistono, difatti, solamente disuguaglianze sociali tra uomo e donna, ma anche tra nero e bianco, tra etero e omosessuale e così via, che si espandono poi col linguaggio. La società influenza la lingua e la lingua si riflette sulla società. Ogni disuguaglianza sociale modifica la nostra visione del mondo, influenzando il nostro modo di parlare e scrivere.

I cambiamenti linguistici non possono sottostare e non sottostaranno mai alle nostre imposizioni, ma solo ad una trasformazione naturale, che va di pari passo con i cambiamenti della nostra collettività e delle sue sfaccettature. 

Cercare di educare le persone ad utilizzare un linguaggio non sessista può essere utile per dare un aiuto ed una spinta, ma il problema è risolvibile soltanto attraverso un profondo cambiamento della società, che, in realtà, avviene senza che noi ce ne rendiamo conto. Non a caso sono nate, come abbiamo già detto, le nuove forme femminili di molte professioni, seguendo i cambiamenti che stanno avvenendo, senza una vera imposizione linguistica.

Il linguaggio discriminatorio, essendo il nostro specchio, cesserà di esistere quando cesseranno di esistere le disuguaglianze nella società; non riusciremo mai a risolverlo aggiungendo un punto mediano alla fine delle parole.

Bibliografia:

  • El País, Smoda, Clara Ferrero, Por qué ser una zorra es malo y ser un zorro es bueno (y otros ejemplos del lenguaje sexista).
  • Real Academia Española, Ignacio Bosque, Sexismo lingüístico y visibilidad de la mujer.
  • Alpheratz, Grammaire du français inclusif.

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