Serious game: è possibile imparare con i videogiochi?

Se da piccolo mi avessero detto che sarebbe stato possibile imparare dai videogiochi, mi sarei messo a ridere per poi chiedere di poter provare. 

Ancora oggi l’idea dell’apprendimento è comunemente rilegata ad una visione antiquata fatta di libri e appunti. La pedagogia e la psicologia però si sono interessate da tempo al mondo dei videogame per il loro potenziale. Da anni è stato affermato che è possibile apprendere tramite questo mezzo relativamente recente, attraverso i serious game.

I serious game  sono una tipologia di videogiochi dei quali il  fine ultimo non è ludico, ma educativo. Vengono usati in molti ambiti, dalla formazione aziendale all’uso come strumento di supporto per persone affette da autismo. I serious game sono frutto dell’unione di tre elementi: l’educazione, i videogiochi e la simulazione. Infatti quasi tutti i serious game sono giochi simulativi.

Ci sono però due problemi: Il primo riguarda la struttura di questi giochi, che viene spesso tralasciata, spesso sono molto interessanti dal lato educativo, ma non sono divertenti, non sono veri e propri giochi. È fondamentale che i videogiochi abbiano  questa caratteristica, perchè il giocatore deve essere coinvolto e deve aver voglia di finire il gioco.  Nonostante il nome, un serious game non deve essere per forza un “gioco serio” , considerato anche il fatto che è stato dimostrato da anni che l’apprendimento viene facilitato da sentimenti positivi, come il divertimento. 

Il secondo problema sta proprio nel termine, che appare poco inclusivo. Esistono anche  videogiochi “classici” che sono educativi, ma per il loro essere estremamente ludici non vengono considerati serious game: basti pensare alla saga di “Assassin’s Creed” nella quale è possibile visitare diverse realtà storiche, riprodotte con molta fedeltà. Anche i giochi gestionali possono essere un buon esempio di giochi educativi, dove si può imparare una base di management. 

Attraverso i videogiochi si possono però affrontare anche realtà diverse da quella propria, che possono essere pericolose. Il videogioco “This war of mine” è un esempio perfetto di come dovrebbe essere un gioco educativo: il titolo è un gioco di sopravvivenza basato sull’assedio di Sarajevo. Oltre alle informazioni storiche che possiamo apprendere, è da sottolineare anche la sua immersività: si capisce bene quali sono le dinamiche seguite durante una guerra e quali sono i suoi orrori. L’importanza dei videogiochi in campo educativo è proprio questa, cioè poter vivere situazioni  pericolose senza mettere a rischio la propria vita. 

È anche da tener conto che i videogiochi possono essere un ottimo strumento per favorire l’integrazione:  è possibile impersonare un personaggio svantaggiato con un background di differente da quello del giocatore, si possono compiere scelte e capire meglio le difficoltà altrui. Nel gioco “Nei miei panni” prodotto dall’Ufficio Nazionale Anti discriminazioni Razziali (UNAR) saremo uno straniero da poco arrivato in Italia. È un gioco simulativo nel quale dovremo fare diverse scelte lavorative, interpersonali e sociali per poter progredire nel gioco. Abbiamo due statistiche da tenere sott’occhio: il budget e la felicità. Se uno dei due parametri scende a zero, il gioco da game over. Durante l’esperienza, il giocatore verrà a conoscenza dei dati reali e delle difficoltà riguardanti uno straniero nel contesto italiano. Lo scopo di questo videogioco, come dice il titolo, è quello di essere nei panni di una persona in difficoltà, cercando di farci empatizzare  con il protagonista, per capire meglio il contesto e per ridurre il razzismo e la disuguaglianza nel mondo reale. 

Bisogna porsi una domanda: perché usare un videogioco per apprendere e non un mezzo più convenzionale? Lo si fa per l’immersività e per la componente ludica del videogioco, che da una forte spinta motivazionale a giocare e, di conseguenza, ad apprendere. La risposta alla domanda che viene spesso posta, cioè perché i videogiochi educativi siano spesso fatti male e non divertenti, sta proprio in queste due problematiche: si predilige il lato educativo a discapito quello ludico. Per avere una maggiore efficacia, un serious game dovrebbe avere queste due caratteristiche ben bilanciate. Per quanto riguarda i giochi “tradizionali”, anche essi possono essere fonte di apprendimento. 

Libri, film, serie tv hanno una potenza educativa enorme che spesso viene sottovalutata: possono essere fruiti da una massa di persone maggiore rispetto ad un libro. Lo stesso concetto vale per i videogiochi.

 Con la realtà virtuale la potenza educativa del videogioco salirà alle stelle e sarà possibile fare esperienze prima impossibili. Già mi immagino a visitare un cervello dall’interno, come in “Esplorando il corpo umano”. Ad oggi sono già in produzione software del genere e si stanno rivelando molto interessanti. Un esempio è “JigSpace VR” che da la possibilità di avere rappresentazioni 3D di tantissimi oggetti, potere sezionarli e vedere come funzionano! 

Il settore dell’educazione negli ultimi decenni è in continua evoluzione, quasi  a pari passo con il progresso tecnologico ed ogni anno vengono pubblicate innumerevoli ricerche sulle  tecnologie applicabili alla didattica. La mia speranza è che l’esperienza educativa diventi sempre più interattiva e che anche i videogiochi vengano considerati parte dell’esperienza didattica e formativa .

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