Multilinguismo nell’Unione Europea

L’Unione Europea contemporanea può contare su un parco linguistico e culturale incredibilmente ampio e variegato. Attualmente, infatti, sono ben 24 le sue lingue ufficiali, che ogni cittadino ha il diritto di utilizzare per interfacciarsi con le istituzioni e la comunità.

Questa politica, che prende il nome di multilinguismo, è unica nel suo genere ed è stata introdotta fin dal Trattato CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio) del 1951, quando i Paesi fondatori scelsero le prime 4 lingue ufficiali: francese, tedesco, italiano e olandese (neerlandese); alle quali si andarono ad aggiungere, nel tempo, le altre 20.

Una scelta coraggiosa, che ha permesso di non sopraffare in maniera arbitraria gli idiomi degli Stati membri; cosa che sarebbe risultata irreparabile.

Ma dal punto di vista culturale e politico, che impatto ha avuto e ha tuttora questo approccio? Possiamo dire che la scelta ha ottenuto i frutti sperati? Quali sono le prospettive future dell’Unione Europea?

Cercheremo di approfondire insieme queste questioni nelle prossime righe, rispondendo ad alcuni quesiti importanti.

Cosa si intende per “unica nel suo genere”?

Non esiste, oggi, nessun’altra organizzazione né istituzione, internazionale e non, in cui le lingue ufficiali siano così numerose. 

Possiamo prendere, per esempio, la NATO, che può contare su 30 stati membri, dove le lingue ufficiali sono soltanto 2: inglese e francese. Oppure l’ONU, l’organizzazione intergovernativa più importante del mondo, che fa del suo meglio, ma si ferma comunque a 7 lingue riconosciute: le più influenti.

Tutto ciò fa capire l’importanza, anche storica, e il valore del sistema multilinguistico, che, a prescindere dai risultati, è incomparabile, anche solo per lo sforzo effettuato.

Sono aspetti fondamentali, che non dobbiamo tralasciare se vogliamo avere un quadro completo dell’attuale situazione linguistica all’interno dell’Unione.

Quali sono le qualità e i limiti di questo sistema?

Senza dubbio, questo modello contribuisce sia a preservare la ricchezza culturale e linguistica, sia a mantenere uno status di parità fra gli Stati Membri. La preferenza ufficiale di una lingua sulle altre, di fatto, creerebbe delle disparità e indebolirebbe tutta l’organizzazione. Inoltre, con questo sistema, gli organi europei garantiscono trasparenza verso tutti i paesi e i cittadini della comunità. Basti pensare che la legislazione dell’UE viene, di volta in volta, tradotta da giuristi e linguisti esperti in ogni lingua ufficiale.

Tuttavia, è chiaro che siamo ancora in una fase di transizione. Sono ancora molti i cittadini dell’Unione Europea che conoscono solamente la propria lingua madre. Di conseguenza, è facile, per questo gruppo di persone, non riuscire a percepire una vicinanza con le istituzioni che non si esprimono nell’unico idioma che loro comprendono.

Abbiamo visto più volte negli anni, a tal proposito, vertici e parlamentari dell’UE che hanno intrapreso discorsi, sia estesi che brevi, in lingua italiana. È chiaramente un modo per avvicinarsi all’ascoltatore, che in quel momento riesce ad avvertire contatto e presenza, a prescindere dal contesto. Questo succede in italiano come in tutte le altre lingue dell’Unione.

Scelta vincente o no?

Dopo aver descritto i principali vantaggi e svantaggi di questo modello, possiamo tirare le somme: è stata una scelta vincente? 

Risposta: è ancora troppo presto per dirlo!

È ovvio che dopo quasi 70 anni, si dovrebbero avere delle certezze. Ma la verità è che serve ancora del tempo per capirlo e molto dipenderà sia da chi ci rappresenta, sia da noi.

Quel che è certo è che l’UE, già da decenni, si impegna per promuovere l’insegnamento delle lingue straniere in tutto il suo territorio, in modo da risolvere a monte quei problemi strutturali che si sono andati a creare nel corso dei decenni. 

L’obiettivo dichiarato è “fare in modo che tutti i cittadini dell’UE possano comunicare in due lingue straniere oltre che nella loro lingua madre”. Sicuramente un proposito ambizioso, ma probabilmente anche l’unica maniera per riuscire a colmare il divario tra i popoli europei e le istituzioni che li rappresentano.

La lingua inglese è oggi la più studiata durante gli anni dell’educazione primaria e secondaria, ma anche la più padroneggiata in generale. Questo fattore, dunque, sta già portando ad un sempre più frequente utilizzo di questa lingua tra i vertici dell’UE, che ottengono così una comunicazione più immediata e meno ambigua. L’uscita del Regno Unito dalla comunità, difficilmente potrà avere effetti negativi su questo idioma.

Cosa possiamo fare per migliorare?

Da un lato, è necessario che si continui ad incoraggiare lo studio delle lingue, creando una coscienza collettiva attorno a questo ambito. 

Chi rimarrà indietro potrebbe avere ripercussioni negative nel futuro, non solo in campo economico, ma anche nelle semplici relazioni europee e internazionali e soluzioni a breve termine non esisteranno.L’Unione Europea deve fare la sua parte, ma è soprattutto grazie all’organizzazione dei singoli Stati nazionali che si possono risolvere certe questioni, come quella linguistica, a cui spesso si dà troppa poca rilevanza.

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